Avv. F. Scalvini| Le nuove forme d’impresa sociale
Avv. F. Scalvini| Le nuove forme d’impresa sociale
Ho sempre creduto - e mi sono impegnato di conseguenza - che dopo quella sulla cooperazione sociale, fosse necessario introdurre la normativa sull’impresa sociale al fine di rendere effettiva la libertà di azione economica prevista dalla Costituzione. Infatti, in un paese di civil law quale noi siamo, questo tipo di libertà può concretizzarsi solamente a patto di avere a disposizione una pluralità di forme giuridiche tra le quali scegliere come sviluppare quella specifica attività economica caratterizzata dall’essere socialmente orientata. Il fatto che molti, tra cui io, preferiscano intraprendere per finalità di interesse generale utilizzando la forma cooperativa, non deve infatti limitare le opzioni di chi invece preferisce operare utilizzando una forma d’impresa con altre caratteristiche.
L’obiettivo di creare il necessario pluralismo fu raggiunto con la legge del 2006 che configurò l’impresa sociale come una sorta di hub normativo al quale possono agganciarsi varie forme giuridiche, tanto del libro primo quanto del libro quinto del codice civile. Una soluzione originale e pregevole, sia nella concezione sia nella formulazione. Infatti, considerando quella di impresa sociale una qualifica giuridica di secondo livello, una sorta di innesto da inserire in una forma giuridica sottostante, creò le condizioni di un transito dolce delle realtà già operanti verso il nuovo profilo, offrendo loro, al pari dei nuovi imprenditori sociali, un ampio menu entro cui scegliere, anziché costringerli al monopiatto cooperativa sociale.
Quindi tutto bene in apparenza. E invece l’impresa sociale non decollò a causa di due evidenti limiti che invano si tentò di rimuovere nel dialogo con governo e parlamento. Il primo è rappresentato dalla non obbligatorietà della forma giuridica. L’incipit dell’articolo 1 della legge è infatti un “possono” che sta a dire che le organizzazioni che esercitano in via stabile un’attività di impresa per finalità di interesse generale e senza finalità lucrative possono anche mantenere forme giuridiche diverse dall’impresa sociale. Può sembrare un paradosso, ma sta a dimostrare come l’introduzione di nuovi e più evoluti sistemi di gestione sconti comunque molte, molte resistenze. E ciò, a maggior ragione se il regime fiscale dei nuovi enti risultava nella normativa del 2006 immotivatamente più gravoso di quello già in essere per la cooperazione sociale.
Opzionalità e assenza di un adeguato regime fiscale furono dunque i veri motivi che ostacolarono il decollo delle nuove forme di impresa sociale, anche se si diffuse una infondata ma insistente teoria per la quale il mancato proliferare era da ricollegarsi all’assenza di incentivi per l’intervento della così detta “finanza d’impatto”.
Ed arriviamo ai giorni nostri, per constatare che, purtroppo nemmeno il decreto legislativo 112 del 2017 ha rimosso i due impedimenti che sterilizzarono l’efficacia della precedente normativa. È infatti rimasta l’opzionalità e il regime fiscale è stato finalmente adeguato, ma anche sottoposto alla preventiva notifica alla Commissione europea, procedura che – dopo sei anni – non si è ancora compiuta.
Per meglio cercare di capire le dinamiche comunque in essere Terzjus ha sviluppato alcuni approfondimenti, affidati a diversi studiosi e edito nell’ultimo scorcio del ’22. Un’opera interessante e articolata, seppur non priva di qualche sbavatura analitica che porta, a parer mio, a qualche eccessivo entusiasmo circa il trend in essere.
In particolare l’aver calcolato la percentuale delle imprese sociali non cooperative sociali sullo stock totale accumulatosi dal 1991, anzichè più correttamente su quelle nate dopo la legge 155/2006, come peraltro viene fatto riguardo alle nascite successive al 112/2017, crea una illusione prospettica che dice di un aumento esponenziale tra prima e dopo il 2017. Aumento che sicuramente vi è stato, ma in misura molto minore di quanto accreditato. Inoltre andrebbe meglio approfondito quanto della crescita numerica sia da attribuirsi non a nuove costituzioni, ma alla assunzione della qualifica di impresa sociale da parte di cooperative già esistenti, ma operanti in settori diversi da quelli delle cooperative sociali e riconosciuti dalla legge 112 (cultura, turismo sociale, tutela beni artistici, ecc.).
Nel complesso dunque un approfondimento utile, ma da affinare, anche collegandolo meglio al lavoro da anni sviluppato da Irisnetwork con i vari “Rapporti sull’Impresa sociale”, e dedicando una sempre maggiore attenzione all’universo delle imprese sociali di fatto. Vale a dire quelle organizzazioni del Terzo Settore che, pur traendo la maggior parte delle proprie entrate da attività commerciali, grazie a quel “possono”, incipit dell’art.1, continuano a rimanere al di fuori dell’ambito normativo disegnato dalla legge 112/2017.