L’imprenditoria sociale nei dati del Censimento ISTAT
L’imprenditoria sociale nei dati del Censimento ISTAT
Come ogni anno, a metà del mese di ottobre, l’ISTAT ha rilasciato l’aggiornamento del Censimento permanente delle istituzioni ed enti no profit. E come ogni anno è questa l’occasione per alcune considerazioni sullo stato di salute e sull’evoluzione dell’intero comparto. Questa volta con un’attenzione particolare, perché il riferimento è al 2020 e pertanto viene fotografato l’anno cruciale della crisi pandemica.
E cosa emerge dai dati? In primo luogo, la conferma della grande resilienza del mondo del Terzo Settore e, in particolare dell’impresa sociale. Infatti, anche nell’anno horribilis, il sistema delle organizzazioni censite dall’ISTAT non ha interrotto, ma solo rallentato la propria crescita, come dimostra l’incremento degli addetti. Diecimila lavoratori in più – poco più dell’1% della forza lavoro complessiva – rappresenta una dimostrazione di vitalità. Soprattutto se confrontato con l’andamento generale dell’occupazione che, nel 2020 ha visto, sempre secondo l’ISTAT la perdita di circa 430.00 posti di lavoro. Un andamento in controtendenza, quello del Terzo Settore che ne conferma l’attitudine anticiclica, anche quando la crisi sociale ed economica assume profili drammatici.
Entrando più nel dettaglio va rilevato come la crescita occupazionale si sia determinata a fronte di un contenutissimo – un migliaio circa - aumento del numero complessivo degli enti. Evidentemente la stagione pandemica non ha favorito le nuove costituzioni e ha interrotto un trend che nel costo del decennio precedente aveva visto un incremento medio annuo di circa seimila nuove realtà. Quindi una sorta di pausa di riflessione, più accentuata nel nord est dove si è avuta una contrazione del numero degli enti, compensata peraltro dagli aumenti nelle altre zone, in particolare al sud.
Se dai territori passiamo all’esame delle dinamiche legate alle forme giuridiche, si conferma una dinamica già in atto l’anno precedente che vede in trend discendente la consistenza numerica della cooperazione sociale, che scende sotto le 15.000 unità. Interessante è però vedere come a fronte della riduzione degli enti, la cooperazione sociale dia il contributo più significativo alla crescita occupazionale, generando circa la metà dei nuovi occupati e attestandosi ormai al 53% della forza lavoro complessiva. Quindi cooperative mediamente più grandi e nel complesso capaci di svilupparsi anche in un periodo così difficile.
Nel complesso quindi il panorama offerto dal Censimento conferma la vitalità del fenomeno dell’impresa sociale, soprattutto nella sua forma tradizionale. E induce un rimpianto riguardo all’investimento ben più rilevante che su di essa sarebbe stato sensato fare all’interno del PNRR. Un’occasione persa come, sono convinto, dimostreranno i censimenti a venire, che rileveranno ulteriori sviluppi, frutto come sino ad oggi soprattutto della forza interna del fenomeno più che delle politiche di supporto che sarebbe lecito attendersi.