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05 dicembre 2022 in Stabilità

Terzo Settore e PNNR

di
Avv. Felice Scalvini
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Come ha ricordato Carlo Borzaga in una recente analisi retrospettiva, l’invenzione e lo sviluppo dei servizi sociali nel nostro paese è pressoché totalmente frutto dell’azione innovativa degli enti del Terzo Settore.

I processi di programmazione che non siano aderenti alla realtà finiscono prima o poi col fare i conti con la realtà stessa. È quello che sta avvenendo riguardo all’ambito delle politiche sociali, con particolare riguardo al PNNR, ma non solo. E questo a causa di una sorta di dissonanza che ha radici remote e ha prodotto nel nostro paese la strana storia della programmazione del welfare socioassistenziale

 

Come ha ricordato Carlo Borzaga in una recente analisi retrospettiva, l’invenzione e lo sviluppo dei servizi sociali nel nostro paese è pressoché totalmente frutto dell’azione innovativa degli enti del Terzo Settore. Essi - soprattutto nel corso degli anni ’70 e ’80, ma anche dopo - hanno letteralmente “inventato” il sistema di servizi sociali che oggi conosciamo, secondo un tipico schema bottom-up. Cioè mediante un’azione dal basso attivata dalle comunità di cittadini che hanno sviluppato forme di risposta ai bisogni soltanto successivamente assunte all’interno di programmi pubblici di intervento. Ed anche in questa ulteriore fase la effettiva possibilità di sviluppo e moltiplicazione si è appoggiata quasi totalmente sul mondo dell’imprenditoria sociale e del Terzo Settore che, dal canto suo, oltre a gestire i servizi affidati dalla pubblica amministrazione ha continuato e produrre nuove attività, in molti casi anche in rapporto diretto coi cittadini, disintermediando in buona misura la pubblica amministrazione. Ciò che si è determinato nel corso degli ultimi decenni non è stata dunque la “privatizzazione” di servizi prima gestiti dalla pubblica amministrazione, bensì la “pubblicizzazione” di servizi originariamente sviluppate dalle realtà del Terzo Settore. 

 

Un simile processo è stato però attraversato sin dall’origine da una dinamica particolare e, se analizzata con sguardo spassionato, anche piuttosto strana. Infatti, mentre andava realizzandosi in via di fatto un processo di pubblicizzazione, la narrazione che l’ha accompagnato ha proposto sin dall’inizio e poi continuato, ad accreditare la visione esattamente opposta. Quella di un fenomeno di privatizzazione del welfare. Studiosi, politici, operatori sociali, spesso, purtroppo anche del Terzo Settore, hanno generato un coro costantemente impegnato a recitare, talvolta anche con toni tra lo sconsolato e il drammatico, la narrazione del “welfare privatizzato”. Senza peraltro mai suffragare questa tesi con concrete esperienze di trasferimento a privati di servizi prima gestiti da stato o comuni. Infatti, non si sono avuti trasferimenti a enti del Terzo Settore di strutture per anziani, o comunità per tossicodipendenti, o per minori prima gestite direttamente dalle amministrazioni locali, come invece è avvenuto per i servizi quali la telefonia, le autostrade, la raccolta rifiuti o la gestione di acquedotti o di trasporti locali, ecc in occasione della grande e reale stagione delle privatizzazioni degli anni ’90.  

 

Il problema, tutt’altro che secondario, che dunque si pone è quello di una evidente e drammatica falsificazione della realtà. Drammatica perché ancora molto diffusa e perché impedisce di fondare orientamenti, scelte e decisioni sul solido terreno della realtà delle cose. Da qui una serie di difficoltà, soprattutto quando si tratta di concepire politiche di sviluppo, che per loro natura necessitano di una forte coerenza con la realtà che intendono aiutare ad evolvere. 

È questo il caso del PNRR che, a differenza di quanto ha previsto per alcune linee d’azione, espressamente orientate a sostenere l’imprenditoria privata, per quanto riguarda gli interventi in materia di welfare – segnatamente prima infanzia e anziani – ha individuato nelle amministrazioni pubbliche locali l’interlocutore pressoché esclusivo. Da qui i problemi già emersi riguardo alla possibilità di attuare il programma relativo alla prima infanzia, che, essendo riservato soltanto alle amministrazioni locali, ha visto, malgrado la proroga dei termini, la presentazione di un insieme di progetti subottimale per quantità, e, probabilmente, anche per qualità. Un campanello d’allarme che dovrebbe essere preso in considerazione e portare ad un sostanziale ripensamento dell’azione pubblica di sviluppo dei servizi di welfare.